Ansia sociale: cos’è e come trattarla

Posted By : silviamarinelli

La caratteristica essenziale del disturbo d’ansia sociale è un’intensa paura o ansia riguardante situazioni sociali in cui l’individuo può essere esaminato dagli altri. Il concetto di paura del giudizio altrui è fondamentale nell’eziologia e nel mantenimento del disturbo. La caratteristica centrale del problema è un forte desiderio di dare una buona impressione di sé agli altri, accompagnato da una forte insicurezza e incertezza sulla riuscita di tale intento. La situazione sociale è vissuta come pericolosa. È presente, da un lato, una forte preoccupazione o ‘fissazione’ relativa al concetto di pericolo (sovrastima del pericolo) e, dall’altro, una sottovalutazione delle capacità individuali nel farvi fronte. Le persone che presentano tale disturbo temono di agire in modo inadeguato e inaccettabile in situazioni sociali e pensano che tale comportamento avrà conseguenze drammatiche in termini di rifiuto sociale. Temono di essere valutate ansiose, imbarazzate, inadeguate, deboli, pazze, stupide, noiose, sporche, sgradevoli, goffe, incompetenti, strane. Tali cognizioni attivano sintomi d’ansia (sul piano fisiologico, cognitivo, emotivo e comportamentale) che diventano a loro volta oggetto di preoccupazione da parte del soggetto, il quale teme un giudizio negativo altrui proprio a causa di tali  manifestazioni ansiose (arrossire, tremare, sudare, balbettare, avere un vuoto di memoria). L’individuo, quindi, affronta la situazione considerata rischiosa prestando eccessiva attenzione alle proprie reazioni e ai propri pensieri e poca attenzione all’ambiente esterno, non cogliendo, in tal modo, quei sottili segnali di tipo sociale che segnalano l’adeguatezza della prestazione interpersonale. La fobia sociale è caratterizzata, quindi, da una percezione distorta di sé associata a una percezione distorta degli altri. A causa della paura e ansia marcata, in molte circostanze l’individuo evita completamente la situazione temuta, privandosi in tal modo della possibilità di smentire le proprie convinzioni, credenze e giudizi negativi. Chi evita riceve un’ immediata gratificazione poichè l’ansia scompare, ma nel lungo termine l’evitamento porta ad una diminuzione della fiducia in se stessi e aumenta il bisogno di fuggire la volta successiva. La paura, con il trascorrere del tempo, tende ad estendersi anche ad altre situazioni per il fenomeno noto come generalizzazione, determinando un progressivo aumento del disagio.

Aspetti clinici e diagnostici
Il DSM 5 include il Disturbo d’Ansia Sociale all’interno della sezione dedicata ai ‘Disturbi d’ansia’: i disturbi che condividono caratteristiche di paura e ansia eccessiva. Per una diagnosi di disturbo d’ansia sociale, l’ansia e/o paura eccessiva sono legate a situazioni sociali in cui il soggetto può essere esposto al giudizio altrui e in cui teme di essere valutato negativamente (es: avere una conversazione, incontrare persone sconosciute, andare ad una festa, essere osservati mentre si mangia o si beve o si scrive, fare un discorso in pubblico). La paura e l’ansia sono spropositate rispetto alla reale minaccia posta dalla situazione sociale, sono persistenti e durano tipicamente 6 mesi o più, causando disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti del funzionamento dell’individuo. Nei bambini, l’ansia e/o la paura devono manifestarsi non solo nell’interazione con gli adulti ma anche con i coetanei e possono essere espresse con immobilizzazione, aggrappamento, ritiro, pianto o  scoppi di collera.

Incidenza
La stima di prevalenza negli Stati Uniti è di circa il 7%. La stima di prevalenza media in Europa è del 2,3%. In genere, si registrano maggiori tassi di disturbo d’ansia sociale nella popolazione femminile rispetto alla popolazione maschile. Nei campioni clinici, i tassi di genere sono equivalenti o leggermente superiori nei maschi e si presume che i ruoli di genere e le aspettative sociali giochino un ruolo significativo nei comportamenti di maggior richiesta d’aiuto in pazienti maschi.

Insorgenza
L’età media d’insorgenza negli Stati Uniti è 13 anni e il 75% degli individui ha un’età d’insorgenza tra gli 8 e i 15 anni. Secondo studi americani ed europei, talvolta il disturbo emerge da una storia infantile di inibizione o timidezza. L’esordio può verificarsi anche nella prima infanzia. L’esordio può avvenire in seguito a un’esperienza stressante o umiliante, oppure svilupparsi lentamente in modo insidioso. Il primo esordio in età adulta è relativamente raro e si verifica con più probabilità in seguito ad un evento stressante o umiliante, oppure a cambiamenti di vita che richiedono nuovi ruoli sociali (es. sposare qualcuno che appartiene ad una classe sociale differente; ricevere una promozione sul lavoro).

Eziologia
Dagli studi effettuati, attualmente, emerge come fattori di natura diversa siano coinvolti nella genesi del disturbo d’ansia sociale, evidenziandone così un’origine multifattoriale, bio-psico-sociale che deve necessariamente tener conto della singola soggettività individuale. I fattori individuati sono:

Fattori genetico-biologici
Le ricerche hanno mostrato una predisposizione ai disturbi d’ansia. La predisposizione corrisponde probabilmente ad una elevata ansia di tratto, comune a tutti i disturbi d’ansia, collegata ad una maggiore reattività e sensibilità del sistema nervoso. Il disturbo d’ ansia sociale è ereditabile (in modo minore quello legato alla performance). È stato dimostrato che i parenti di primo grado hanno una probabilità da 2 a 6 volte maggiore di sviluppare il disturbo d’ansia sociale. Se uno dei due genitori agisce e pensa da timido, vi sono molte probabilità di ritrovare pensieri e comportamenti analoghi in uno o più dei suoi figli. In una ricerca del 1995 Abby Fryer e coll., dell’Università di Columbia, evidenziarono che l’incidenza delle ansie sociali era tre volte maggiore nelle famiglie in cui uno dei due genitori presentava questi problemi. Tale studio, per quanto importante, non discriminava però l’influenza esercitata dal fattore genetico da quella esercitata dal fattore educativo.Nel 1992, Kenner Kendler e coll. costatarono che, nel caso di gemelli monozigoti, se uno presentava ansie sociali, nel 24% dei casi le presentava anche l’altro; nel caso di gemelli dizigoti, al contrario, la percentuale scendeva al 15%. Sulla base di tali dati Kendler e coll. stabilirono che il patrimonio genetico sarebbe responsabile dell’ansia sociale per il 30%, mentre l’ambiente lo sarebbe per il 70%. Altri studi più recenti su gemelli hanno dimostrato la presenza di fattori ereditari in tutte le fobie. Oggi si ritiene che i fattori genetici spieghino il 30-50% circa della genesi della fobia sociale e che siano particolarmente importanti nella genesi della fobia sociale generalizzata. In un interessante lavoro Kagan et all. (1988) hanno scoperto un costrutto temperamentale che definiscono inibizione comportamentale per le novitàche a loro avviso può riflettere un’ ipotetica base biologica del comportamento timido. In uno studio longitudinale hanno dimostrato che l’estrema timidezza all’ età di due anni era predittiva di inibizione a 7 anni. I bambini inibiti, inoltre, sembrano avere più frequentemente genitori con fobia sociale. Vi sono inoltre evidenze secondo le quali nella fobia sociale è presente una disfunzione del sistema serotoninergico e dopaminergico. L’influenza genetica, però, è soggetta all’interazione tra genotipo è ambiente. Quindi i fattori genetici sono importanti, ma altrettanto importanti sono i fattori ambientali. È’ possibile affermare che l’ansia sociale venga trasmessa geneticamente, ma anche appresa socialmente.

Fattori psicosociali
– Eventi stressanti: È stato proposto ‘un modello di condizionamento avversivo’ secondo cui un’ esperienza stressante o umiliante, maltrattamento e avversità infantili potrebbero essere considerati fattori di rischio per il disturbo d’ ansia sociale. In tal caso le fobie potrebbero essere acquisite per condizionamento diretto.
– Stile genitoriale e delle persone significative: È stato proposto ‘un modello di apprendimento sociale’ che può avere una grande rilevanza nell’acquisizione delle fobie. Secondo tale modello l’apprendimento della fobia può avvenire in forma indiretta, sia attraverso l’osservazione di persone con una determinata paura (apprendimento osservativo e per imitazione), soprattutto se queste persone sono affettivamente o educativamente importanti per noi, sia attraverso la trasmissione di informazioni o di istruzioni circa un particolare stimolo pericoloso. Inoltre, uno stile genitoriale iperprotettivo può impedire al figlio di maturare le necessarie esperienze sociali. Uno stile genitoriale perfezionista, tipico di genitori che hanno una forte ambizione per quanto concerne le mete educative e sociali del figlio, può favorire, allo stesso modo, l’emergere di ansie sociali. Pretendere che il figlio ‘brilli’ sempre e in tutti i settori della vita non è una pratica educativa accettabile, poichè la probabilità che egli possa emergere in tutte le aree è assai ridotta e nel momento in cui vivrà il fallimento ne sarà fortemente deluso. La sconfitta potrebbe trasformarsi in un dramma, se il genitore farà pesare la sua delusione. Nascerà così il senso di colpa e di vergogna. Lo stile delle insegnanti, allo stesso modo, potrebbe generare ansie sociali.
– Deficit di abilità sociali: È stato proposto un modello che ipotizza che alla base della fobia sociale vi sia un deficit di abilità sociali. Oggi si sa che il deficit può essere primario ma anche rappresentare la conseguenza delle inibizioni caratteristiche della fobia sociale. Gravità della fobia sociale e gravità delle carenze di abilità sociali sono associate.
– Esperienze di fallimento: Numerose esperienze di fallimento a livello scolastico, relazionale e sociale possono determinare un abbassamento dell’autostima e dell’autoefficacia e predisporre alla fobia sociale.

Trattamento
Secondo il modello biopsicosociale il trattamento del disturbo d’ansia sociale è un trattamento integrato, che deve necessariamente tener conto dei determinanti biologici, psicologici e sociali. In un’ottica multidimensionale il disturbo d’ansia sociale emerge, quindi, dalla costante interazione tra fattori endogeni e fattori esogeni. Il trattamento può essere: 1) farmacologico; 2) psicoeducazionale individuale e, se necessario, familiare; 3) psicoterapeutico. Gli obiettivi del trattamento cognitivo comportamentale sono qui di seguito indicati:
– sviluppare una conoscenza adeguata del disturbo;
– insegnare al paziente le tecniche di gestione dell’ansia;
– modificare i pensieri disfunzioni, gli schemi cognitivi di funzionamento e i processi cognitivi distorti che contribuiscono al mantenimento del problema;
– eliminare l’uso di comportamenti protettivi e di evitamento;
– incrementare il senso di autoefficacia;
– effettuare un training sull’assertività.

Gli strumenti utilizzati saranno i seguenti:
– psicoeducazione;
– tecniche di gestione dell’ansia;
– ristrutturazione cognitiva;
– esercizi comportamentali;
– desensibilizzazione sistematica;
– esposizione graduale in vivo;
– training assertivo